sabato 5 gennaio 2008

Nevica di nuovo

Non vorrei trasformare questo piccolo blog in uno spot dell'APT, ma nevica ancora fiocchi grossi. Quindi stravolgo le abitudini del sabato: me lo passerò al paesot, principalmente a casa. Poi dopopranzo potrei fare una scappata nel bosco soprastante [ieri ho "visitato" quello sotto], tanto per godermi la neve.




Vi linko un paio di notizie tratte da "L'Adige online" [così non mi devo inventare qualcosa da scrivere]. Notizie faunistiche, s'intende.



Cimurro, strage nei boschi
Il cimurro, una malattia virale infettiva contagiosa e dagli esiti spesso letali che colpisce i giovani cani e canidi il furetto e molto raramente i gatti, sta facendo strage nei boschi trentini
05/01/2008 09:20

Il cimurro, una malattia virale infettiva contagiosa e dagli esiti spesso letali che colpisce i giovani cani e canidi (volpe, lupo...), il furetto e molto raramente i gatti, sta facendo strage nei boschi trentini. Sono già una trentina gli animali che sono stati uccisi da questa patologia. Due sono stati salvati da questa sorte nei giorni scorsi al centro di recupero faunistico gestito dalla Federazione cacciatori al Casteller di Trento. Si tratta di un tasso e di una volpe che presentavano tutti i sintomi del cimurro e che sono stati prontamente vaccinati. Gli animali si sono ripresi e nei prossimi giorni, quando le loro condizioni si saranno definitivamente stabilizzate, verranno di nuovo liberati nei luoghi in cui erano stati trovati. La fonte principale di infezione di questa malattia è la via aerogena. Fondamentale appare il contatto diretto tra soggetto ammalato e sano. Gli animali possono ricevere il virus da particelle di saliva, ma anche da urina e feci di animali infetti. I principali sintomi sono inizialmente generici: malessere, anoressia, febbre. Il cimurro può colpire tanto i soggetti molto giovani quanto quelli più vecchi, ma i soggetti a rischio più alto sono i cuccioli. Nel frattempo nel centro del Casteller, che per l'anno nuovo sta attendendo l'arrivo dell'orsa Jurka dal recinto di San Romedio, in questi giorni è stato salvato anche un camoscio di un anno che era stato trovato sulla collina di Calliano con una zampa rotta proprio nel giorno di Natale. Il giovane camoscio probabilmente era rimasto vittima delle tagliole collocate da qualche cacciatore di frodo in zona ed era riuscito a liberarsi solo in un secondo momento, quando il suo femore era ormai fratturato. In quelle condizioni l' animale è sopravvissuto per alcuni giorni nel bosco, fino a quando le forze non l'hanno abbandonato. In quello stato, il giorno di Natale, è stato visto e soccorso da due escursionisti che scendevano dal sentiero sotto Castel Beseno. Ora è stato operato e anche lui, quando si sarà ripreso, sarà liberato sopra Calliano.



Ndb: quindi ricordatevi, se andate per boschi e il vostro cane annusa tutti gli alberi, occhio




Monte Baldo, là dove osano le aquile
Andrea Frapporti - noto ambientalista «verde» e fondatore del Pant, Protezione ambiente natura Trentino - da quasi vent'anni scruta (e riprende con la sua telecamera) la vita della coppia di aquile reali che vive e nidifica sul Monte Baldo
05/01/2008 09:23

Anche nella vastità del cielo tutto il mondo è paese: dai racconti di Andrea Frapporti - noto ambientalista «verde» e fondatore del Pant, Protezione ambiente natura Trentino - che da quasi vent'anni scruta (e riprende con la sua telecamera) la vita della coppia di aquile reali che vive e nidifica sul Monte Baldo, un inedito quadro che qualcuno definirebbe di «bamboccioni». La coppia, alla nascita del piccolo, se n'è andata altrove. Ha lasciato «casa» e territorio di caccia all'aquilotto; il quale, oggi settenne, dunque nel pieno dell'età adulta e della maturità sessuale, ancora non s'è accasato. Del comportamento «all'italiana» di questa «reale» famigliola, le cause potrebbero essere legate sia ai cambiamenti climatici che a quelli dell'ambiente: «Di solito è l'opposto - dice Andrea Frapporti - perché se col primo inverno l'aquilotto non se ne va, rischia di essere attaccato, addirittura di essere ucciso. L'aquilotto invece non è ancora fuori dai tempi normali per trovarsi una femmina». Frapporti ha riunito le immagini di tutta la nidificazione fino alla nascita e al primo volo in un calendario-documentario 2008 con tiratura di 500 copie, cui seguirà un documentario di 40 minuti che forse vedremo al prossimo Trento Filmfestival. Altro comportamento «umano», stavolta del tutto nella norma: quand'è stato il momento (verso Ferragosto del 2000) di iniziare a battere le ali, l'aquilotto di lasciare il nido proprio non ne voleva sapere. Ma i genitori (diversamente dai colleghi umani) hanno ben lavorato per l'autonomia del piccolo: brevi voli nelle vicinanze, per invogliarlo, per rassicurarlo. Poi hanno stretto un po' la cinghia, dandogli meno da mangiare e subdolamente appoggiando un bel pezzo di carne nelle vicinanze. Finché il piccolo s'è buttato: l'iniziazione ad una vita nelle vastità dei cieli, nelle altitudini senza confini. Tutto sotto il paziente sguardo di Andrea Frapporti che per giorni e giorni se n'è rimasto chiuso in un piccolo capanno, a oltre mezzo chilometro dal nido. Perché l'aquila reale non è quel mattacchione di orso, è tutta un'altra pasta. Lei l'uomo non lo regge proprio, lo guarda dall'alto (vola fino a 4 chilometri d'altezza) e ci sta accuratamente alla larga. I suoi nidi (ogni coppia ne ha almeno tre o quattro, di un metro e mezzo di diametro) li costruisce su alte pareti di roccia, orientati a est, con correnti d'aria ascendenti. Ad un'altitudine di 1.700 metri circa. La coppia «locale» è anche al passo con certi vezzi del tempo (ma questa invece è la norma): lui è più giovane di lei. Lei ha passato i vent'anni (le aquile reali vivono in media 35 anni) mentre lui ne ha almeno tre, quattro in meno. «L'aquila reale è la regina della selezione naturale, si ciba tendenzialmente di selvaggina anomala; e qui sta un problema: i cacciatori che fanno piazza pulita. E poi ci sono tutte queste ferrate che arrivano proprio all'interno dell'habitat dell'aquila reale e di altri rapaci, come il nibbio bruno, il gheppio, la poiana, il corvo reale. Chi fa sport non si rende conto della devastazione che provoca alla natura. Bisognerebbe eliminare tutte le ferrate sotto i 2.000 metri. Il che vorrebbe dire salire in quelle zone più tardi, verso giugno, quando la cova è conclusa. Abbiamo l'aquila anche nello stemma della provincia, ma non facciamo nulla per proteggerla». Anche la nidificazione della coppia «locale» - che avviene ogni due anni - è stata interrotta per ben due volte dall'uomo: «La prima volta per la pulizia dei boschi che ha causato l'abbandono del nido; la seconda per via della ferrata e della gente che ci passava: era attorno al quarantesimo giorno della cova e il maschio, come succede in questi casi, non è più tornato. Ho sentito per due giorni la femmina cantare, era il richiamo al maschio. Poi anche lei ha abbandonato il nido».
Michele Comper



NdB: diamine queste povere aquile non sanno proprio adattarsi ai ritmi dell'uomo! [sono ironico, ovviamente: sono ancora inca22ato con quell'ignoto str0n20 che ha sparato alla "nostra"]

1 commento:

Anonimo ha detto...

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